Il Chiostro
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Messaggio  antonio_ruan Dom Ott 26, 2008 4:34 pm

Dimostrazioni contro la riforma della scuola
Pubblicato Giovedì 23 Ottobre 2008 in Germania

FONTE: [Tagesschau ARD]

Il mondo accademico protesta contro i tagli di Berlusconi

Le Universita’ italiane costano molto e producono poco. Il governo Berlusconi vuole cambiare questa situazione con una riforma radicale contro la quale gli studenti e i professori di tutti gli atenei fanno ora le barricate. Il governo non si lascia impressionare e minaccia di far sgomberare le Universita’ dalla polizia in caso di occupazione.

Nella controversia sulla riforma della scuola, entrambi gli schieramenti si sono mobilitati: gli studenti hanno occupato in varie città gli uffici universitari, le aule e gli istituti. Al Ministero degli Interni a Roma, i funzionari del governo stanno discutendo la possibilita’ di impiegare le forze di polizia per far finire le occupazioni. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è presentato insieme con il suo ministro all’istruzione Maria Stella Gelmini ad una conferenza stampa dove ha evocato il ricorso alla linea dura: “Non permetteremo che le scuole e le università vengano occupate”, ha detto Berlusconi. L’ occupazione di strutture pubbliche non sarebbe una dimostrazione, non sarebbe un diritto esercitato per la libertà, non farebbe parte della democrazia, bensi’ una violenza, secondo il premier. “La violenza e’ nei confronti degli altri studenti, delle famiglie, delle istituzioni, e contro lo Stato”.

Otto miliardi di euro in meno - all’anno

Il Rettore dell’ Università la Sapienza di Roma ha fatto immediatamente sapere che non tollerera’ un’ operazione di polizia nella sua universita’. Il mondo accademico si e’ chiuso a riccio nel rifiutare i piani del governo: tagli nel settore dell’istruzione pubblica per un importo di otto miliardi di euro l’anno. E cio’ indipendentemente dal modo in cui le singole università sono state gestite in passato.

Non solo gruppi di studenti di sinistra

Contro le misure annunciate sono anche i rettori di orientamento più conservativo. E così si ha l’impressione che al campus occupato della Sapienza a Roma non siano solo gruppi di studenti di sinistra a dimostrare. “Questa è la nostra seconda notte di occupazione qui, e vi hanno aderito molti più studenti rispetto alla precedente”, dice una studentessa. “Abbiamo semplicemente trascorso le notti dormendo, perché siamo stati occupati con azioni e interviste fino a mezzanotte, e con l’organizzazione della giornata di oggi, perché avranno luogo davvero un sacco di dimostrazioni, e dobbiamo uscire presto, alle sette ci siamo alzati”. Uno dei suoi compagni dice: “Siamo in una situazione di crisi. E’ perfettamente possibile che alcuni corsi vengano cancellati, il mio per esempio. È partito da solo un anno, ora si pensa gia’ di cancellarlo.”

Le università pubbliche in Italia costano molto e producono poco. In questo il governo ha ragione. L’idoneità di un neo laureato per un posto di lavoro è di gran lunga inferiore a quello in paesi simili dell’Unione europea. E anche se lo studio ha un’impronta molto scolastica, in molte istituzioni scolastiche ci sono situazioni non più sostenibili. Professori che gli studenti non riescono mai a vedere, che rimangono attaccati per decenni alla loro cattedra, incassando alti stipendi e guadagnando anche per lavori nel settore privato, piuttosto invece di insegnare.

Le scuole piccole dovrebbero venire chiuse completamente

In questa situazione, i piani di governo agiscono come un elefante in una cristalleria: tagli di bilancio generalizzati. Nel settore scolastico non solo migliaia di posti di insegnamento dovrebbero scomparire, ma anche tutte le scuole che non raggiungeranno il numero minimo di studenti dovrebbero venire chiuse. Per i genitori e gli studenti nel ricco e ben strutturato nord questo potrebbe essere accettabile almeno parzialmente. Nel sud povero pero’, secondo gli esperti, dovrebbe immediatamente salire il numero gia’ alto degli abbandoni scolastici, per la serie: a dodici anni meglio aiutare nella pizzeria di papa’ piuttosto che passare un’ora sullo scuola bus per andare a scuola nella città vicina.

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Shock nel sistema
Pubblicato Martedì 21 Ottobre 2008 in Inghilterra

FONTE: [The Guardian]

I tagli al budget e le riforme del sistema scolastico italiano hanno provocato un’ondata di proteste.

“Si tratta di una protesta davvero strana” riflette Teresa Bencetti in un caffé dietro l’angolo della scuola elementare di Roma Victor Hugo Girolami. Nessuno le ha proposto di rinunciare al proprio lavoro di insegnante di matematica e inglese, dice. Nessuno le ha proposto di ridurre il suo stipendio che, tolte le tasse, la lascia con 14,400€ circa annui. Ma il governo di centro-destra guidato da Silvio Berlusconi sta cercando di sottoporre il martoriato sistema scolastico italiano ad un terapia d’urto: la Bencetti e molte altre sue colleghe temono che produrrà più danni che risultati positivi.

La scorsa settimana studenti universitari e professori si sono uniti per la prima volta alla crescente ondata di proteste contro i tagli e le riforme imposte dal giovane Ministro dell’istruzione di Berlusconi, Mariastella Gelmini. Le critiche ritengono che le scuole torneranno indietro di almeno 30 anni. A seguito di manifestazioni e sit-in, la maggiore coalizione sindacale ha proclamato una giornata di sciopero generale per l’istruzione il 30 ottobre.

La posta in palio è altissima. Gli economisti sono tutti d’accordo nell’identificare uno dei motivi chiave per cui l’Italia è diventata, negli ultimi 10 anni, il fanalino di coda dell’Europa nel fatto che il sistema educativo non si sia adeguato alle esigenze di una società della conoscenza. “Non lo facciamo per noi stessi, ci interessa il futuro dei nostri alunni” dice Letizia Baldoni, che insegna italiano.

La Victor Hugo Girolami si trova nel quartiere di Monteverdi Nuovo che Paola Pandolfi, un’altra insegnante, definisce di “classe medio-alta”. Tuttavia la scuola non ha la banda larga e possiede solo una dozzina di computer per 500 bambini. I soldi non dovrebbero essere un problema. La patria natìa di Maria Montessori spende per i suoi alunni tra i 6 e gli 11 anni molto di più della media dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD). I soldi scarseggiano invece nell’educazione secondaria. Ma anche qui, la spesa media per studente è 5.700 euro, poco sotto la media della OECD.

Il nocciolo della questione è che le risorse a disposizione sono gestite male - o, meglio, in maniera non proficua. Circa il 79% del budget destinato all’istruzione viene divorato dagli stipendi. Tuttavia gli insegnanti non sono particolarmente ben retribuiti. Nella scuola elementare, guadagnano il 78% della media OECD (anche se hanno un carico di lavoro minore: 24 ore settimanali di base). Il problema è dunque che ce ne sono troppi. L’Italia è un paese caratterizzato da settimane corte, giornate lunghe e classi piccole, spesso in scuole di modeste dimensioni.

Paragoni a livello internazionale

L’educazione elementare, comunque, ottiene ottimi risultati se comparata a livelli internazionali. Uno studio della OECD pubblicato il mese scorso piazza l’Italia tra il quinto e l’ottavo posto secondo diversi criteri in una classifica che analizza le 30 nazioni più ricche. I problemi iniziano nella scuola secondaria. La performance degli adolescenti italiani nei test Pisa (programma internazionale di valutazione degli studenti) è stato un disastro. Nell’ultimo, fatto nel 2006, gli studenti sono stati i peggiori tra Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e USA (anche se con enormi differenze di risultati tra il ricco nord e le zone meridionali più povere).

Durante gli ultimi anni si sono anche registrati dei disgustosi episodi di bullismo, violenza e molestie di insegnanti nei confronti degli alunni. Tali eventi, più di ogni altra cosa, hanno portato a parlare di una “emergenza istruzione”.

Gelmini, figlia di un maestro di scuola elementare, ha ottenuto l’incarico ad aprile prendendosi l’impegno di affrontare il problema. Ma, in un periodo in cui l’Italia ha difficoltà a restare nei limiti di budget imposti dalla comunità europea, il Ministro è anche costretta ad attenersi alle esigenze di un budget molto limitato. Il problema che sta affrontando dunque è notevolmente difficile - migliorare qualità e disciplina e, nel contempo, contenere le spese. Nessuno può accusarla di compiacenza. Non è passato neanche un giorno, da quando è diventata ministro, senza qualche titolo di giornale dedicato all’istruzione. La prima mossa del Ministro 35enne è stata annunciare una riduzione delle spese di 7,8 miliardi di euro.

In netto contrasto con quanto accade in Inghilterra, il grosso dei tagli sono stati diretti alle scuole elementari che sono in realtà l’unica parte del sistema che funziona (le università sono un problema ancora più spinoso delle scuole). Molte piccole scuole saranno costrette a chiudere - 260 solo nel Lazio, la regione in cui si trova Roma. Circa 87.000 posti di insegnante e 45.000 posti di insegnanti di sostegno verranno tagliati.

Il governo assicura che nessuno perderà il proprio posto di lavoro. I risparmi verranno ricavati nei prossimi 3 anni accademici attraverso le mancate assunzioni. Tuttavia, questa è una magra consolazione per le decine di migliaia di precari - insegnati giovani e senza contratto fisso le cui speranze di una carriera nel settore dell’istruzione saranno frustrate sino al 2012 e, in molti casi, abbandonate per sempre. Gli oppositori di questa politica del governo sostengono, tra le altre cose, che ciò ha ostacolato il ricambio generazionale degli insegnanti.

Attualmente, i genitori degli alunni delle scuole elementari hanno una sola scelta. Possono iscrivere i propri figli per cinque mattine e due pomeriggi a settimana: in questo caso i bambini dovranno fare più compiti a casa. Oppure possono optare per 40 ore. Il “tempo pieno”, come si dice, è molto utile per una famiglia in cui entrambi i genitori lavorano. La riforma Gelmini cancella questi sistemi sostituendoli con 24 ore a settimana.

Ma il cambiamento che ha acceso le polemiche - anche se non il dibattito, visto che è stato imposto al parlamento attraverso l’equivalente italiano della “ghigliottina” [per decreto legge, N.d.T.] - è stata la reintroduzione del sistema del “maestro unico” nelle scuole elementari come la Victor Hugo Girolami. Persino qualche alleato di Berlusconi, capeggiati dal leader della Lega Nord Umberto Bossi, si è mostrato contrario a questo provvedimento quando è stato reso pubblico.

La Pandolfi, che insegna storia dell’arte e italiano, adesso affronta la tremenda prospettiva di dover insegnare ad un’intera classe l’intera gamma di materie, incluse quelle di cui non ha una conoscenza adeguata. “Questo sistema esisteva 30 anni fa” dice. “Ormai, le materie che insegniamo sono molto più complesse. E molto più pesanti. Si ha bisogno di un ampio bagaglio di conoscenze per insegnarle in maniera adeguata.”

Il ritorno al maestro unico è solo uno degli elementi che il Ministro ombra dell’istruzione, Maria Pia Garavaglia, definisce criticamente “Operazione Nostalgia”. Così come molti italiani considerano compiaciuti gli anni ‘50 e ‘60 un’età aurea di crescita economica e stabilità politica, così hanno la tendenza a vedere le scuole del passato come una soluzione ai problemi del presente.

Voto in condotta

La Gelmini chiaramente condivide questa visione. Ha reintrodotto i voti di condotta, che erano stati aboliti 10 anni fa. Sta considerando la re-introduzione delle uniformi scolastiche. Ha inoltre invitato i presidi a promuovere i grembiulini, che sembravano destinati all’estinzione, così come è successo in altre nazioni dell’Europa occidentale, eccetto per le lezioni di arte. La Pandolfi è preoccupata dal fatto che qualsiasi beneficio che queste misure possono portare sarà spazzato via dall’abolizione dell’insegnamento a tempo pieno nelle scuole elementari. “Nelle zone meno agiate, il “tempo pieno” serve a tenere i ragazzi lontani dalle strade” dice.

La sofisticata interpretazione è che la Gelmini stia costruendo le fondamenta per chiedere maggiori risorse per affrontare il problema più difficile costituito dalla riforma della scuola secondaria. Un sondaggio dello scorso mese rileva che è stata il membro di governo più popolare, con un indice di approvazione del 66%. Ma il rischio è che, con l’Italia che si dirige ancora una volta verso una recessione che metterà a dura prova le finanze pubbliche, il tesoro chiuderà il rubinettouna volta che i tagli entreranno in vigore.

Giacomo Vaciago, professore di economia politica alla Università Cattolica di Milano, nonché uno delle maggiori autorità in materia di istruzione, è fortemente critico nei confronti del sistema attuale. Tuttavia crede che l’approcio del governo sia “ingenuo e conservatore”. “L’idea sembra essere che se torniamo al passato ritroveremo la vecchia qualità - un assunto alquanto ingenuo. La qualità è qualcosa che non si ottiene facilmente con grembiulini e disciplina.”
antonio_ruan
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