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Messaggio  Edoardo Lun Nov 10, 2008 3:26 pm

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO

Ormai da più di un mese assistiamo al crollo sistematico delle borse mondiali. Questo processo, iniziato con l’esplosione della bolla speculativa sui mutui statunitensi e continuata con il fallimento di grandi agenzie finanziarie (es. Lehman Brothers, Freddy Mac, Fanny Mae, ecc), non sono che il preludio alla vera crisi, quella dell’economia reale. Chi è sopravvissuto fino ad oggi indebitandosi, dalle famiglie, alle imprese fino alle amministrazioni comunali, sarà esposto al rischio di perdere da un lato la capacità d’acquisto (causando quindi il drastico calo della circolazione di merci) e dall’altro la fonte principale di finanziamento dell’apparato produttivo e industriale. Nei prossimi mesi proveremo sulla nostra pelle le conseguenze di un tasso di disoccupazione altissimo, ovvero un incremento generalizzato della povertà nel paese. La risposta del mercato del lavoro italiano non si discosterà dalle politiche economiche praticate e propagandate negli ultimi due decenni: riduzione significativa del costo del lavoro, tramite l’abbattimento di tutele e diritti garantiti costituzionalmente e conquistati negli anni.
In Italia la risposta del governo è chiara: racimolare soldi tagliando indiscriminatamente la spesa pubblica per sostenere il sistema bancario (responsabili del disastro che stiamo vivendo). La legge 133 prevede infatti una serie di provvedimenti (tra cui la privatizzazione di servizi e beni essenziali come l’istruzione e l’acqua) volti a “razionalizzare e ridurre la spesa e il debito pubblico”. Tra i settori che più vengono colpiti da tagli e privatizzazioni ci sono scuole, università e ricerca.
Infatti da 15 anni l’università e la ricerca non sono considerati settori strategici in cui investire. Tagli e riforme, imposte da governi di centrodestra e centrosinistra, hanno portato il sistema universitario sull’orlo della disfatta rendendo impossibile l’esercizio del diritto allo studio accessibile a tutti e dequalificando l’offerta formativa volta agli studenti e alle studentesse.
La legge 133 è in perfetta sintonia con le politiche finora attuate. Oltre agli ingenti tagli, alla drastica riduzione del personale, prevede infatti la possibilità (che però nella proposta di riforma del Governo dovrebbe diventare un obbligo) per gli atenei di trasformarsi in fondazione di diritto privato, cancellando così il carattere pubblico dell’istruzione (quindi garantito a tutti e tutte) come sancito dalla Costituzione.

Investire su scuola ed università sarà l'unico strumento capace di garantire, non solo un tessuto sociale capace di comprendere ed intervenire nei processi di determinazione della propria vita, ma anche la possibilità di essere competitivi nella produzione intellettuale, base indispensabile per frenare un sistema destinato a crollare sotto il peso della disoccupazione.

Crediamo che l'uscita dalla crisi sarà possibile solo investendo in un modello capace di coniugare investimenti nelle scuole, nell'università e nella ricerca, come garanzia per il futuro, e rispondere alla domanda di stabilità proveniente dal mondo del lavoro.

Questo significa più fondi al diritto allo studio, più investimenti pubblici nella ricerca e più posti di lavoro qualificati ed equamente retribuiti e tutelati. Solo così si potrà aiutare il potere d’acquisto di milioni di famiglie messe a rischio dalla crisi economica.

In quest’ottica il primo passo concreto da compiere è l’abrogazione della legge 133.

Per essere all’altezza del compito da svolgere il sistema universitario e il mondo della ricerca devono essere riformati. Il modello del 3+2 aveva come obiettivo strategico la formazione di un elevato numero di tecnici specializzati, che competano sul mercato per i bassi salari. In merito la logica della privatizzazione e della deregulation (perseguita in Italia dal ’92 e imposta oggi con la legge 133 e la futura riforma) ci indica che anche per il governo Berlusconi la formazione e la ricerca non sono settori produttivi per il paese in cui lo stato deve investire.
E’ per questo che si demanda la formazione d’eccellenza a pochi poli universitari (perlopiù privati o fondazioni privilegiate) condannando il resto del sistema pubblico all’inevitabile rovina.
Per questo l’università deve cambiare e deve dotarsi di metodi nuovi che garantiscano contemporaneamente l’accessibilità a tutti e la più alta qualità della formazione possibili.
Si tratta quindi di progettare un’autoriforma, cioè di dar vita non solo ad un’assemblea programmatica, ma ad un momento costituente, in cui tutti insieme definire le tracce progettuali di un'alternativa per l’università. Criticare il definanziamento e il progetto di dismissione del sistema formativo significa infatti non attestarsi alla conservazione dell’università esistente, come l’abbiamo vissuta fino ad adesso, perché quell’università è il luogo di produzione di precarietà e formazione di lobby di potere.
Questo primo incontro nazionale è infine un modo per continuare ad agire, come stiamo già facendo, per costruire tutti insieme una nuova prospettiva di università e società, continuando ad allargare il livello di coinvolgimento e consapevolezza sociale.
Edoardo
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